La vicenda a Parigi 2024 fra la pugile algerina e l'italiana è diventata politica
Originariamente pubblicato su: La Voce Di Newyork
La sindrome di Swyer o disgenia gonadica pura, riguarda pazienti che presentano una discrepanza tra il cariotipo e il fenotipo sessuale; in sintesi, presentano un aspetto femminile riguardo ai genitali esterni che, tuttavia, non si sono sviluppati in modo completo, per l’assenza delle ovaie e l’evidenza di un utero di piccole dimensioni. Questa rarissima condizione appartiene alla categoria dei “disturbi dello sviluppo sessuale”. Le pazienti affette da sindrome di Swyer, dopo una accurata visita ginecologica e uno studio degli ormoni sessuali, risultano avere questi ultimi alterati, a causa dell’assenza del gene SRY, e vivono la loro condizione di intersessualità, socializzando come donne.
Potrebbero anche avere un figlio, a seguito di terapia e con ovodonazione, ovviamente con le difficoltà che l’utero ridimensionato potrebbe causare, tra le altre implicazioni di natura anche ormonali. Nascere con questa sindrome è di per sé un processo fisico e psicologico che va ad alimentarsi di incertezze e che richiede spesso un supporto psicologico dal momento che molti dei caratteri sessuali secondari non si manifestano, come lo sviluppo del seno e la presenza del ciclo mestruale. Il cariotipo rivela cromosomi XY, maschili, mentre l’imaging mostra la presenza di un utero.
Ciò si traduce in un complesso processo articolato che va ad incidere sulla “differenziazione sessuale” mancante. Una recente pubblicazione della rivista “Gynecological Endocrinology ha riportato il caso di tre sorelle con fenotipo femminile e cariotipo maschile, per la prima volta presente in letteratura scientifica. E tutte con implicazioni diverse anche in riferimento alla salute generale.
Facendo chiarezza, questa sindrome è molto impattante e presente dalla nascita, e non si parla di “transizione”, né di essere collocata tra i maschi. Il soggetto nasce donna e chiede di potersi esprimere come individuo intersessuale e socializzarsi, cioè presentarsi agli altri, come donna a tutti gli effetti, in tutte le manifestazioni dell’essere, comprese quelle sportive.
Ora la sindrome è venuta alla ribalta e ha ottenuto una enorme risonanza per la vicenda legata all’ incontro di pugilato previsto Olimpiadi di Parigi, che si è tenuto – benché per soli 46 secondi – nonostante una polemica feroce circa la presunta impari prestazione delle due atlete, di cui una italiana e l’altra, intersex, algerina; l’incontro era stato autorizzato dal Comitato Olimpico, in base ai livelli ormonali dell’atleta intersex che si presentavano nei limiti consentiti in base ai parametri vigenti e al regolamento olimpico.
La struttura ossea di una paziente affetta da sindrome si Swyer è più elevata, ma non ci sono riferimenti circa la forza fisica o lo sviluppo muscolare o di una prestazione maggiore o minore rispetto ad una atleta nata “normale”. La presenza di cromosomi XY è legata alla “malformazione e al deficit del gene SRY”, pertanto l’incontro poteva essere disputato in sicurezza, dato che la scienza e il Comitato Olimpico lo avevano considerato “idoneo”.
Il fatto che una atleta con una sindrome rarissima non possa partecipare ad una competizione senza essere attaccata in un contesto internazionale come le Olimpiadi da battute, attacchi politici, pregiudizi, teorie pseudoscientifiche è molto grave, e tanto se si considera il percorso già di per sé difficile che dalla nascita qualunque persona, in questa condizione genetica, affronta. Essere Intersex – come detto- è una condizione complessa, fisicamente e psicologicamente, anche senza queste implicazioni di natura ideologica, culturale, politica o religiosa che l’ambiente sportivo di per sé inclusivo, poteva risolvere, facendo maggiore chiarezza.
La scelta personale dell’abbandono del match da parte dell’atleta Angela Carini, che ha ritenuto di dover lasciare l’incontro, percependo una prestazione impari che pensava rappresentasse un pericolo per la sua incolumità, va rispettata e compresa, anche alla luce della feroce e violenta polemica, che di certo ha influito non poco nella sua determinazione e sullo stato d’animo con cui è giunta sul ring.
Chiunque inneggi a categorie “speciali”, scomodando le parolimpiadi, fa discriminazione. Non si tratta qui di corpi con evidenti problematiche, costretti a disputare gare diverse con diversi livelli di criticità per questioni fisiche degli atleti, ma di identità. Nata donna, Imane Khelif ha combattuto nella categoria pugilato femminile sin da bambina e ha vinto un argento ad Istanbul nel 2022, mentre è cronaca che nel 2023 ai Mondiali stata squalificata per la presenza elevata di testosterone.
L’equa competizione è stata sempre presente nel percorso di Khelif, che ha subito il non-allineamento dei parametri dei valori minimi ormonali a livello internazionale e, quindi mondiali, europei o olimpici, su cui magari bisognerebbe intervenire con una disciplina unica e concorde per non ingenerare confusione. Il problema della sicurezza negli sport di contatto è una questione di primo piano che va risolta, caso per caso, senza invalidare i diritti di espressione di un’atleta con una sindrome che non impatta sulla parità della competizione. Squilibrio ormonale, non di forze; per cui è evidente che Imane Khelif abbia subito un attacco fuori misura, discriminatorio.
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